In molti si chiedono quali siano le cause condominiali nelle quali l’amministratore agisce d’ufficio, ossia senza preventiva autorizzazione assembleare, e soprattutto quali siano quelle in cui si avanzano contestazioni legate al difetto di legittimazione attiva.
In tema di legittimazione attiva dell’amministratore di condominio, la giurisprudenza ha delineato con precisione i confini entro i quali l’amministratore può agire senza necessità di autorizzazione assembleare. Secondo l’articolo 1130, comma 1, n. 4, del Codice Civile, l’amministratore ha il potere di compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio. Questo include la possibilità di promuovere azioni giudiziarie volte alla tutela delle parti comuni, come le azioni possessorie per la reintegrazione nel possesso di tali parti.
Tuttavia, la legittimazione dell’amministratore a promuovere l’azione di responsabilità ex art. 1669 c.c. nei confronti del costruttore, a tutela dell’edificio nella sua unitarietà, non si estende, in assenza di mandato rappresentativo dei singoli condomini, alla proposizione di azioni risarcitorie relative ai danni subiti nelle unità immobiliari di proprietà esclusiva.
Queste eccezioni vengono avanzate se si ravvisano gli estremi per poter fare: eccepire la carenza di legittimazione, giusto per farlo (es. in giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 63 disp. att. c.c.), non ha senso ed è indice di impreparazione o, forse peggio, di azione dilatoria.
In un’articolata causa risolta dalla Corte di Cassazione con al sentenza n. 26849 del 29 novembre 2013, s’è nuovamente affrontato il tema della legittimazione attiva dell’amministratore di condominio in relazione al concetto di atti conservativi: per quali motivi l’amministratore può far causa ad un condomino (o ad un terzo) al fine di conservare lo stato di fatto e di diritto dell’immobile da egli gestito.
La Corte, nella pronuncia in esame, ha precisato che il riferimento agli artt. 1130 n. 4 e 1131 c.c. riguarda quelli in vigore prima dell’entrata in vigore della riforma del condominio (le vecchie norme si applicano a tutte le cause iniziate prime del 18 giugno 2013).
Ai fini pratici, c’è da dire, cambia poco: sul punto le norme sono sostanzialmente invariate.
Nel caso di specie l’amministratore richiedeva la rimozione di una veranda, installata su un balcone, che rovinava l’estetica dell’edificio oltre che la rimozione di alcuni beni da uno scantinato condominiale e di un motore frigorifero da una parte comune.
Le controparti del condominio, fin dal primo grado, chiedevano venisse accertata la carenza di legittimazione attiva dell’amministratore in quanto lo stesso aveva agito senza mandato assembleare. Nel grado di appello si vendevano data ragione in relazione a quelle riguardanti lo scantinato.
La Corte di Cassazione, che ha posto la parola fine alla contesta, ha ritenuto queste doglianze infondate e, come si dice in gergo, cassato con rinvio la sentenza per le parti ritenute illegittime.
Non è stato così per le vetrate. In particolare – si legge in sentenza – con riguardo alla suddetta azione relativa alle vetrine, è stato affermato (cfr. Cass. n. 9378 del 1997; Cass. n. 24391 del 2008 e, da ultimo, Cass. n. 14626 del 2010) che, ai sensi degli artt. 1130, primo comma, n. 4), e 1131 c.c. (“ratione temporis” applicabili, nella versione antecedente alla novellazione intervenuta per effetto della legge 11 dicembre 2012, n. 220), l’amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad instaurare un giudizio per la rimozione di aperture abusive eseguite, sulla facciata dello stabile condominiale, da taluni condomini, in quanto tale atto, essendo diretto a conservare il decoro architettonico dell’edificio contro ogni alterazione dell’estetica dello stesso, è finalizzato alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio“.
È importante notare che, in alcune situazioni, l’amministratore necessita di una delibera assembleare valida per agire in giudizio, soprattutto quando l’azione non ha una mera finalità conservativa ma implica questioni più complesse o che esulano dalle sue attribuzioni ordinarie.
In sintesi, la legittimazione attiva dell’amministratore di condominio è riconosciuta per le azioni volte alla conservazione e tutela delle parti comuni dell’edificio, mentre per altre tipologie di azioni, specialmente quelle riguardanti le proprietà esclusive dei singoli condomini, è necessaria una specifica autorizzazione assembleare o un mandato da parte dei proprietari interessati.
Avv. Isidoro Tricarico
presidente OGGICONDOMINIO